Il
Seppuku (in giapponese: 切腹) è un termine
giapponese che indica un
rituale per il
suicidio in uso tra i
samurai. In Occidente viene spesso confuso col più semplice harakiri (in giapponese: 腹切り), a volte in
italiano volgarizzato come Karakiri, con pronuncia e scrittura errata dell'
ideogramma hara.
La traduzione letterale di entrambi i termini è "taglio del ventre" e veniva eseguito, secondo un rituale rigidamente codificato, come espiazione di una
colpa commessa o come mezzo per sfuggire ad una
morte disonorevole per mano dei nemici. Un elemento fondamentale per la comprensione di questo rituale è il seguente: si riteneva che il ventre fosse la sede dell'
anima, e pertanto il significato simbolico era quello di mostrare agli astanti la propria anima priva di colpe in tutta la sua purezza.
Alcune volte praticato volontariamente per svariati motivi, durante il
periodo Edo (
1603 –
1867), divenne una
condanna a morte che non comportava
disonore. Infatti il condannato, vista la sua posizione nella casta militare, non veniva giustiziato ma invitato o condannato a togliersi da solo la vita praticandosi con un
pugnale una ferita profonda all'
addome di una gravità tale da provocarne la morte.
Il taglio doveva essere eseguito da sinistra verso destra e poi verso l'alto. La posizione doveva essere quella classica giapponese detta seiza cioè in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all'indietro; ciò aveva anche la funzione d'impedire che il corpo cadesse all'indietro, infatti il guerriero doveva morire sempre cadendo
onorevolmente in avanti. Per preservare ancora di più l'onore del samurai, un fidato compagno, chiamato
kaishakunin, previa promessa all'amico, decapitava il samurai appena egli si era inferto la ferita all'addome, per fare in modo che il
dolore non gli sfigurasse il volto. La
decapitazione (
kaishaku) richiedeva eccezionale abilità e infatti il kaishakunin era l'amico più abile nel maneggio della
spada. Un errore derivante da poca abilità o
emozione avrebbe infatti causato notevoli ulteriori sofferenze. Proprio l'intervento del
kaishakunin e la conseguente decapitazione costituiscono la differenza essenziale tra il seppuku e lo hara-kiri: sebbene le modalità di taglio del ventre siano analoghe, nello hara-kiri non è prevista la decapitazione del suicida, e pertanto viene a mancare tutta la relativa parte del rituale, con conseguente minore
solennità dell'evento.
Il più noto caso di seppuku collettivo è quello dei "
Quarantasette rōnin", celebrato nel dramma
Chushingura, mentre il più recente è quello dello scrittore
Yukio Mishima avvenuto nel
1970. In quest'ultimo caso il kaishakunin
Masakatsu Morita, in preda all'emozione, sbagliò ripetutamente il
colpo di grazia. Intervenne quindi
Hiroyasu Koga che decapitò lo scrittore.
Una delle descrizioni più accurate di un seppuku è quella contenuta nel libro Tales of old Japan (
1871) di
Algernon Bertram Mitford, ripresa in seguito da
Inazo Nitobe nel suo libro
Bushido, l'anima del Giappone (
1899). Mitford fu testimone oculare del seppuku eseguito da
Taki Zenzaburo un samurai che, nel
febbraio 1868, aveva dato l'ordine di sparare sugli stranieri a
Kobe e, assuntasi la completa responsabilità del fatto, si era dato la morte con l'antico rituale. La testimonianza è di particolare interesse proprio perché resa da un occidentale che descrive una cerimonia, così lontana dalla sua cultura, con grande realismo.
Coltello Tantō, usato per il Seppuku.
Nel
1889, con la
costituzione Meiji, venne abolito come forma di punizione. Casi di seppuku si ebbero al termine della
Seconda guerra mondiale tra quegli ufficiali, spesso provenienti dalla casta dei samurai, che non accettarono la resa del Giappone. Tra questi figura il caso dell'anziano ex-
daimyō Nogi Maresuke che si suicidò nel
1912 alla notizia della morte dell'imperatore.
Il seppuku era previsto, nella tradizione della
casta dei samurai, anche per le donne; in questo caso il taglio non avveniva al ventre bensì alla gola dopo essersi legate i piedi per non assumere posizioni scomposte durante l'
agonia. L'arma usata poteva essere il
tanto (coltello), anche se più spesso, soprattutto sul campo di battaglia, la scelta ricadeva sul
wakizashi, detto anche guardiano dell'onore, la seconda lama (più corta) che era portata di diritto dai soli samurai.