domenica 30 dicembre 2007

Interpretazione del tatuaggio. 1na vera Follia!

È acclarato che le origini del tatuaggio sono secolari.
Il “segno” nasce con l’uomo e con la terra.
Vero è che la mummia di “Similaun” (la mummia di 5200 anni c.a. ritrovata tra i ghiacci delle Alpi nei primi anni ’90), né riportava uno sulla schiena.
II termine tatuaggio ha molte madri putative, la più conosciuta è la derivazione della congiunzione delle parole polinesiane “Ta” e “Tau”, traducibili in “Segno sulla Pelle”.
Questa parola viene introdotta in Europa all’inizio del Settecento dall'esploratore anglosassone James Cook di ritorno da uno dei suoi leggendari viaggi nei Mari del Sud.
Nelle società primitive, tatuarsi il corpo non ha nulla di trasgressivo, anzi, “marchiarsi” è un segno sia di integrazione che di classe sociale, ma attenzione: NON di “emarginazione”.
Un esempio? I maschi Maori (Nuova Zelanda), usavano tatuarsi il viso in segno di distinzione di rango. Il loro disegno (chiamato “Moko”), li rendeva unici ed inconfondibili, proprio alla pari delle impronte digitali.
Ma il mondo è nettamente cambiato e con lui, lo è il tatuaggio.
Infatti, sono lontani i tempi in cui a tatuarsi la pelle erano esclusivamente i banditi, i detenuti, le prostitute e non in ultimo, i soldati di ventura, i militari.
Oggi il tatuaggio è diventato un vero e proprio fenomeno di massa, senza perdere del tutto però, l’essenza di una piccola ed eccitante trasgressione.
E’ proprio a causa del fenomeno “marchio sulla pelle” che sono nati vari “studiosi del comportamento umano”, i quali, si sono chiesti perché alcuni uomini (e donne) sentono in loro, vivo, il desiderio di lasciarsi un segno indelebile sulla pelle-
Alcuni si chiedono perché “imprimersi per sempre”, proprio in una società così veloce come la nostra, dove il progresso porta il baluardo dell’estrema mobilità e della rinascita in ventiquattrore, infatti, oggi si cambia tana, occupazione, religione, partito politico, sesso e compagno con estrema facilità.
Forse si, forse il mondo è cambiato, magari si è evoluto, forse si è liberalizzato, mentre l’uomo, l’animale eccellente, ha deciso di proiettarsi nel futuro rimanendo comunque aggrappato alle sue origini. L’uomo, o meglio, qualche uomo, per quanto il mondo voglia tecno-svilupparsi ha deciso di mantenere una parte della sua bestialità, dei sui istinti e dei suoi riti, in barba alla velocità e alle macchine (ben)pensanti.
Magari il tatuaggio, oggi come allora, svolge le stesse mansioni che svolgeva nelle tribù.
Magari si è ri-codificato il codice comportamentale, comunque sia, ancora oggi il tatuaggio viene usato per abbellire (es. il trucco permanente), per coprire, per comunicare con se stessi e con gli altri, per scongiurare le paure e soprattutto, per ricordare. Il tatuaggio, dunque, è un vero e proprio “messaggio indelebile” (non virtuale) che l'individuo ha deciso di trasportare nel percorso della sua vita, il tatuaggio è un messaggio in grado di comunicare a se stesso e agli altri un grido profondo dell’io, un grido udibile tralasciando il colore della pelle, la cultura, la politica, il sesso e la religione.
Il tatuaggio esprime e racconta una parte del’individuo che lo indossa, palesa le sue scelte, trasmette le sue paure e le sue emozioni, il suo tatuaggio anima la curiosità dei terzi e chiarisce subito i suoi sentimenti e i suoi orientamenti.Dinnanzi alla diffusione del fenomeno “tatuaggio”, quindi nasce la “psicologia del tatuaggio”, cattedra questa di cui, almeno io, farei volentieri a meno. (Non amo i tuttologi, né gli opinionisti!).
Comunque sia, questa nuova “materia” si dice studiare il carattere delle persone, proprio in base ai segni indelebili impressi sulla loro pelle.
C’è chi, tra gli studiosi, afferma che quando si tratta del corpo umano, il significato dei simboli non può essere assolutamente interpretato con la semplice “intuizione” né con la “cultura”, bensì, va ricercato nell'inconscio dell’individuo, perché la scelta del disegno, di “quel preciso disegno” e della zona da tatuare, si dice non essere mai “neutra”, ma essa rimanda al mondo dei simboli e fa emergere quello che è nascosto nel profondo dell’io dell'individuo e cioè, il suo vero carattere(?). Personalmente la trovo una fesseria, ma ognuno di noi è libero di vivere in serenità la propria vita e di credere al proprio D-io, o meno!
A tal proposito, cito: “Le pergamene viventi - Interpretazioni del tatuaggio nell’antropologia positiva italiana” - (La Ricerca Folklorica, No. 27, Forme di famiglia Ricerche per un Atlante italiano. Parte seconda - Apr., 1993, pp. 129-138) - di Pierpaolo Leschiutta.
Credo valga davvero la pena leggere l’associazione del segno tatuato all’Antologia Criminale Italiana di Cesare Lombroso.
La cosa che mi lascia perplesso però, è la “profezia” di chi, NON tatuato, NON segnato, sia presa ”per buona” a causa di una laurea in sociologia o peggio, di un ”master qualsiasi”.
Io sono un tatuato convinto, io sono un segnato consapevole, io e solo io conosco il senso dei miei segni e credo che nessuno, nessuno oltre me possa comprendere il significato o le motivazioni che, inequivocabilmente, mi hanno spinto ad avere i miei tatuaggi sulla mia pelle.
A pensarci bene, neanche il tatuatore che me li ha marchiati ne conosce bene il significato.
Sorrido spesso quando ascolto la frase: “Vuoi conoscere il significato dei tatuaggi?”.
Si, sorrido perché cerco si immaginare quale significato si vuole dare,ad esempio, ad una “A” o ad un ideogramma giapponese che significa “ARIA”, oltre il suo valore intrinseco di “A” nel primo caso e di “ARIA” nel caso dell’ideogramma!!!
Che significato può avere un Cuore Sacro?
E che significato può avere una Farfalla o un Teschio?
Mah, io che pratico “quasi da sempre” l’ink sulla pelle, non saprei proprio da dove incominciare a “spiegare” il segno, mentre c’è chi afferma di conoscerne non solo il significato, ma di comprenderne addirittura la motivazione “morale”, fino ad analizzare ed incentrare il carattere di chi lo porta! Assurdo! Siamo tornati nel medioevo!
C’è chi afferma che a tatuarsi la parte sinistra del corpo sono le persone pessimiste, - in psicoanalisi la parte sinistra del corpo rappresenta il passato, che a tatuarsi la parte destra del corpo invece sono le persone solari ed aperte al futuro, - in psicoanalisi la parte destra è legata al futuro , mentre il tatuarsi il tronco denoterebbe “concretezza e capacità decisionali”, mah.
Poi se la scelta del segnaccio cade sulle braccia, allora significa che l'individuo sta attraversando una fase di “lenta maturazione”, tipo una pera giovane che non vuole essere colta dal contadino! Ed ancora le persone “infantili” e “poco riflessive” preferiranno le gambe alle braccia.
A questo punto si entra nel vivo dell’indagine tatuistica (una nuova disciplina forense, atta smascherare l’io dei tatuati…), se il tatuaggio si trova in una parte anatomica nascosta come ad esempio l'ombelico, la natica, il fondo schiena o l'interno coscia allora il tatuato è timido, anche “insicuro”, con un forte, ma forte senso di inferiorità!
Mentre gli studiosi hanno acclarato che la caviglia è la zona preferita dalle donne “sospettose” e davvero “gelose”, ma anche molto, molto femminili.
Il tatuaggio sulla caviglia è scelto anche dagli uomini veri, competitivi e belligeranti, tipo Leonida dei 300. Si, Leonida ce lo vedo proprio!
Infine, il tatuarsi le zone genitali, sempre per gli scienziati della comunicazione del segno, assume significati addirittura “opposti” sia per gli uomini che per le donne.
Le donne che si tatuano le zone intime sono: 1) Combattive, 2) Autonome, 3) Sensuali.
Gli uomini che si tatuano le zone intime sono: 1) Maldestri, 2) Passivi.
Risultato: 3 a 2! Sui genitali, vincono le donne!
Ma andiamo avanti.
Chi studia l’inchiostro ha teorizzato (o sentenziato?) che la zona da tatuare varia principalmente proprio a seconda del sesso.
Gli uomini preferiscono la schiena, la spalla e il braccio destro.
Le donne invece preferiscono la caviglia, il fondo schiena e il polso.
(Si dice tra gli scienziati ricercatori che queste ultime zone, sono le più adatte ai tatuaggi piccoli come i fiori, piccole rondini o delfini, disegni prediletti dal sesso femminile).
Per quanto mi riguarda, il tatuaggio “piccolo” è un “vorrei ma non posso”, ma questa è solo una mia opinione.
Sempre negli ambienti dei ricercatori dell’io, si dice che il soggetto più tatuato in assoluto è il drago, poiché il drago è il punto di incontro tra l’Oriente e l’Occidente.
Sempre secondo gli psicologi, il drago è la metafora della “forza originaria” e “generatrice”.
Il drago testimonia il desiderio di affermazione di chi lo porta.
Sempre gli studiosi affermano che esiste una versione “minimalista” del drago, la “lucertola”, la quale, rimanda ad un'immagine di sé più contenuta e controllata(?).
Sempre per gli studiosi del fenomeno (fenomeni loro stessi), il serpente, soggetto molto utilizzato tra i tatuati, rappresenta un “simbolo fallico”.
Certo, non poteva proprio mancare l’analisi dei motivi astratti, primi tra tutti i disegni “tribali”: grandi macchie scure, nere, piene, a volte sgraziate, pesanti, con il tratto spesso e le curve flessuose che ricordano i “Moko” del popolo Maori. (Certo che ce ne vuole davvero tanta di scienza per definire “astratto” un tatuaggio tribale, sì, bisogna essere davvero uno studioso, di spessore!)
Gli addetti all’analisi dicono che il tatuaggio “astratto Maori” è il soggetto prediletto dai Punk e in generale, da tutti coloro che rifiutano la “massificazione”, insomma, da coloro che sentono il bisogno, la necessità di differenziarsi dalla massa, lasciandosi segni indelebili ed evidenti sulla propria pelle. (Contraddizione in termini, perché allora questo ragionamento varrebbe per tutti i tatuati, nessuno escluso e non solo per i Punk!) .
Gli analisti, hanno rivelato inoltre che gli Ideogrammi Giapponesi rivelano un animo raffinato, un gusto estetico e fedeltà in amore-
Mentre gli Eroi Guerrieri, i Vichinghi, i Legionari Romani e i vari motivi Celtici costituiscono un'altra categoria molto precisa e sottintendono “valori aggressivi”.
Difatti - dicono gli studiosi, non a caso sono i simboli scelti dagli Skin Head rimandano a una ipotetica comune matrice etnica e culturale, alla quale i gruppi di “estrema destra” sostengono di ispirarsi.
C’è da chiedersi allora, a cosa rimandano i gruppi di estrema sinistra e quelli di estremo centro! Mah, misteri della scienza.
Però, per chi vuole cimentarsi all’opposizione dell'oppressione e alla privazione della libertà c'è la passione per gli Indiani d'America, i Lupi e gli Orsi.
Sempre secondo gli psicologi del tatuaggio la testa di un Pellerossa, di un Lupo o di un Orso, comparirà più facilmente sul braccio (braccio destro o sinistro? uomo o donna? giovane o anziano? di che partito politico? di quale religione?) di una persona impegnata a favore delle minoranze e molto curiosa nei confronti di altre lingue, della storia e delle religioni.
Concludendo, dopo tutte queste saccenti risposte che non riuscivo a regalarmi da solo nudo davanti allo specchio, mi domando e vi domando: “Mi sono fatto tatuare il tronco, la schiena, le spalle, le braccia, le gambe, ed altro ancora, sono pieno di ideogrammi giapponesi, cinesi, di fiori europei e sconosciuti, di tribali, di maori, di simboli strani, di cuori, di rose, di donnine, di guerrieri, di animali, di simboli celtici, ecc, ecc, ma allora, cosa sono in realtà? Sono forse un duttile psicolabile sociopatico antioppressore, estremista di centro-sinistra-destra, solare, plumbeo-depresso, maldestro, passivo, infantile, maturo, omosex, bisex, transex, eterosex, attivo, geloso, sospettoso, inferiore, timido, anti-massificato, sofisticato, grezzo, raffinato contenuto e controllato uomo tatuato? E voi? Cosa siete voi?”.
Meno male che ci sono gli studiosi della psicologia del tatuaggio a schiarirci le idee, altrimenti non riusciremmo a fare complete e vere introspezioni!
Grazie a loro, un domani ormai prossimo, farò anche un bell’esame di coscienza.
Popolo di tatuati finalmente “smascherati” (privacy a parte…), se è vero che ci si tatua “per fare un dispetto ai propri genitori” (alcuni psicologi mi dissero questo…), allora non c’è via di scampo, perciò bando alle canottiere perché bisogna solo coprirsi bene perché con l’aria che tira, Torquemada a parte, il T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è sempre in agguato!!!
massimiliano de cristofaro “arashi”

Se volete approfondir-Vi:
- “Psychological and Motivational Characteristics of Tattooers and Body-Piercers”, Christina Frederick-Recascino et al, North American Journal of Psychology, Vol. 2, no. 2. 2000.
- “Estetiche dei ribelli per la pelle. Storia e cultura dei tatuaggi”, Castellani Alessandra, Costlan Editori 2005.
- "Psicologia del tatuaggio", Anna Maria Casadei, La mandragora editore, Imola, 1997.- "I tatuaggi", G. Salvioni, Xenia editore, Milano, 1996.

ADESIONE ALL'ALMANACCO TATUATORI 2008


ADESIONI ALL'ALMANACCO TATUATORI 2008

Termine massimo 28 Febbraio 2008

giovedì 27 dicembre 2007


BUON NATALE &
FELICE ANNO NUOVO
A U G U R I dallo STAFF
di TATTOO DIMENSION

mercoledì 26 dicembre 2007

TATTOO DIMENSION VI AUGURA

BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO

martedì 6 novembre 2007

TATTOO - TATU - MARCARE IL CORPO


Art by: Dr De Mentia

Tatuaggio deriva dall’americano “Tatoo” che a sua volta deriva dal polinesiano “Tatu” che significa marcare il corpo con dei segni.

Oggi il tatuaggio è un elemento trasversale alle culture, alle credenze religiose, all’età, all’estrazione sociale: in ogni caso, un abbellimento che sovente rimanda a singoli e personali significati. In un’epoca non troppo lontana, la pratica del tatuaggio era una prerogativa di persone che vivevano ai margini della società, in particolare dei detenuti e delle prostitute ma anche un tratto distintivo dei marinai. Più indietro nel tempo, però, il tatuaggio era parte di un rito collettivo o assumeva diversi significati a seconda della cultura di appartenenza, rappresentando una sorta di “talismano” contro gli spiriti maligni o per testimoniare il proprio legame ad un gruppo tribale, religioso o sociale. Né la diffusione della sua pratica è riconducibile ad un unico popolo o area geografica, nascendo e sviluppandosi tra popolazioni e culture lontane e senza alcun contatto tra loro.

lunedì 5 novembre 2007

IL TATUAGGIO NELLA STORIA


IL TATUAGGIO NELLA STORIA
Il tatuaggio non è affatto una pratica dei nostri giorni. Sono state rinvenute mummie egizie e libiche, risalenti a centinaia d’anni prima di Cristo, che sono tatuate. Anche in Sudamerica sono state scoperte mummie tatuate. Sin dalla preistoria l'uomo è stato portato a lasciare dei segni, delle tracce, sull'ambiente circostante e, in particolare, a decorare i luoghi a lui familiari, per renderli più intimi e personali. Secondo Levi Strauss, la prima superficie che l'uomo ha sentito l'impulso di abbellire sarebbe stato il corpo, inteso come involucro della propria persona e mediatore con il mondo esterno. A conferma dell'antichità di tale pratica, vi è il ritrovamento di utensili di epoca preistorica, che si pensa fossero utilizzati per tale scopo. Possiamo ricordare, inoltre, i racconti di storici quali Erodoto e Plinio il Vecchio, oppure i corpi mummificati rinvenuti in varie parti del mondo, che portano evidenti segni di tatuaggi. La pratica del tatuaggio, insieme alla scarificazione e alla pittura ornamentale, è da considerarsi dunque un'arte antica, nata per soddisfare un impulso umano con connotazioni non solo individualistiche, ma anche con risvolti sociali, tanto da poter essere considerata come "l'atto sociale primitivo". Sul piano linguistico è da notare che il temine "tatuaggio" ha origine polinesiana, in particolare tahitiana, e deriva dal vocabolo "tatau", traducibile con "marcare con segni", "scrivere sul corpo". Inizialmente il termine "tatuaggio designava sia il tatuaggio propriamente detto, cioè la deposizione sottocutanea di pigmenti secondo un disegno indelebile, sia la pratica, diffusa presso popolazioni fortemente pigmentate, della scarificazione e delle cicatrici ornamentali o "cheloidi", ottenute mediante la guarigione di profonde ferite tramite cicatrizzazione. Il vocabolo "tatau", trascritto da Cook con il vocabolo di lingua inglese "tattow", trasformato successivamente in "tattoo", si è poi diffuso in Europa. Con il termine odierno di tatuaggio si indicano tutti quegli ornamenti e disegni impressi indelebilmente sulla pelle. La pratica del tatuaggio è diffusa presso tutti i popoli. La zona ritenuta più ricca di tatuaggi, sia per quanto riguarda la quantità che la complessità dei disegni, è l'Oceania, dove l'uso del tatuaggio è sopravvissuto fino ai giorni nostri: si va dalla Nuova Zelanda a Samoa. Molto diffuso, a Samoa, è il tatuaggio su tutto il corpo, denominato "pe'a", per eseguire il quale sono richiesti cinque giorni di sofferenza. Alla fine, viene data una grande festa in onore di chi è riuscito a portare a termine l'impresa. In Africa si ritrova una stretta connessione tra tatuaggio, magia e medicina. In Asia invece il tatuaggio ha origini lontane ma la pratica si è evoluta con tempi e ritmi diversi nelle diverse zone. Nel Sud-Est asiatico il suo uso è limitato alle fasce povere della popolazione, mentre in Giappone assume un valore ornamentale e di connotazione sociale. Il tatuaggio era conosciuto anche presso tutte le popolazioni dell'America precolombiana: valgano come esempio gli indiani della costa nord del Pacifico ed i Maia. In Europa il tatuaggio era diffuso già in epoca preistorica e sembra che la sua funzione fosse principalmente terapeutica e curativa. Fu utilizzato anche dai Greci e dai Romani per indicare l'appartenenza ad una classe bassa o ad alcune categorie sociali: schiavi, prigionieri, disertori e stranieri. Particolare è il rapporto tra la religione cristiana ed il tatuaggio: inizialmente esso costituiva per i primi fedeli perseguitati un simbolo religioso e l'espressione di una fede osteggiata. Un cambiamento si ebbe nel 787 d.C., quando Papa Adriano ne proibi l'uso. Quel divieto, poi, rimase a lungo. Le condanne del tatuaggio lo fecero scomparire dall'Europa per molto tempo, tornando in uso solo tra il XV e il XVIII secolo, dopo l'avvio delle grandi esplorazioni geografiche. Furono proprio le scoperte di territori incontaminati, veri e propri paradisi terrestri (si pensi all'arcipelago polinesiano), che portarono una ventata di suggestioni esotiche e di curiosità, soprattutto presso la borghesia del tempo, che ritornò al tatuaggio e riconobbe ai tatuatori il ruolo di artisti. Si può ritenere che questo atteggiamento sia riconducibile al desiderio di un ritorno alle origini. Infatti, l'incontro con culture incontaminate e definite "primitive", generò la rivalutazione di un certo stile di vita, di pratiche, riti e abitudini ad esso connesse, atteggiamento che confluì e si espresse nel mito del "buon selvaggio". Questa visione esotica viene meno con il '900, epoca in cui si ha un'inversione di tendenza: il tatuaggio non è più considerato espressione di libertà ed arte, ma di anti-socialità, arretratezza e disordine morale. Perché questa opposizione? Si può ritenere che essa sia stata suscitata dalla diffusione del tatuaggio all'interno di ceti bassi: esso, infatti, si era propagato tra marinai, soldati, malavitosi e carcerati, tanto da diventare un vero e proprio proclama di appartenenza alla criminalità. Il ritorno del tatuaggio, in anni più vicini, richiama alla mente la ribellione e la trasgressione. Ne sono un esempio gli anni '60, in cui chi sceglieva di tatuarsi apparteneva al ceto medio-alto ed era, per lo più, mosso dalla voglia di stupire e porsi in alternativa alla mentalità comune. Con i "punk" ed i "bikers", negli anni '70 e '80, il tatuaggio diventa uno degli elementi cosiddetti "contro", cioè simbolo di contrapposizione. Al tempo stesso, si pone anche come segno di riconoscimento ed appartenenza. Il desiderio di tatuaggio, esploso negli anni '90 insieme con il diffondersi di riviste e centri specializzati, non sembra portare con sè ribellione e rabbia, ma si pone piuttosto come una scelta di stile di vita personale.

domenica 4 novembre 2007

FONDERIA DELLE ARTI - TEATRO ITALIANO & FREAK


FONDERIA DELLE ARTI
Presso il prestigioso spazio della FONDERIA DELLE ARTI a Roma, mi trovate ospite (assieme ad altri 60 artisti) nella rassegna "DIGNITA AUTONOME DI PROSTITUZIONE" a cura di Luciano Melchionna.

Musica, Cabaret e un pizzico di Freak... vi aspetto ingresso 5 euro.
Sostenete il Teatro Italiano! A presto...dal 3 Novembre al 9 Dicembre.
by Dr. De Mentia

Un nuovo "approccio" allo spettacolo.
Nell’atrio della “Casachiusa dell’artista”, attori e attrici si alternano ogni sera nell’attesa di un cliente da portare in camera per consumare uno dei “giochi più antichi del mondo”: IL TEATRO.

ATTORI COME PROSTITUTE protetti, ma alla mercé dell´avventore spettatore di turno, si lasciano esaminare, scegliere, soppesare in cambio della propria Arte e del proprio Cuore.
Il cliente paga quello che contratta prima o quello che matura dopo la performance.
Pillole del piacere, ognuna della durata di 10 minuti al massimo, in un confronto a due, un triangolo o chissà…(anche in macchina)"Mi paghi SE E QUANTO ti è piaciuto."

FONDERIA DELLE ARTI, Via Assisi, 31 Roma - tel. 067842112
http://www.fonderiadellearti.com/

sabato 3 novembre 2007

SAKURA - IL CILIEGIO


Sakura, il Ciliegio...

Oggi assunto a simbolo di tutte le Arti Marziali, venne adottato dai samurai quale emblema di appartenenza alla propria classe. Nell'iconografia classica del guerriero il ciliegio rappresenta insieme la bellezza e la caducità della vita: esso, durante la fioritura, mostra uno spettacolo incantevole nel quale il samurai vedeva riflessa la grandiosità della propria figura avvolta nell'armatura, ma è sufficiente un' improvviso temporale perché tutti i fiori cadano a terra, proprio come il samurai può cadere per un colpo di spada infertogli dal nemico. Il guerriero, abituato a pensare alla morte in battaglia non come un fatto negativo ma come l'unica maniera onorevole di andarsene, rifletté nel fiore di ciliegio questa filosofia. Un antico verso ancora oggi ricordato è "Hana Wa Sakuragi, Hito Wa Bushi" (花は桜木人は武士) che tradotto significa "Tra i Fiori il Ciliegio, tra gli Uomini il Guerriero".

KANJI, HIRAGANA E KATAKANA



I Kanji (漢字) sono i caratteri usati nella scrittura giapponese in congiunzione con i sillabari hiragana e katakana.
I kanji derivano dalla scrittura cinese, che una volta introdotta in Giappone apportò mutamenti sostanziali alla lingua giapponese. In generale i caratteri si usano per rappresentare le parti morfologicamente invariabili delle espressioni giapponesi (come i semantemi). Un kanji può quindi rappresentare la radice dei verbi, degli aggettivi o, integralmente, una buona parte dei sostantivi della lingua giapponese.
La lettura detta on (on'yomi) di un kanji deriva a livello fonetico dalla sua pronuncia cinese. La kun'yomi è invece la pronuncia genuinamente giapponese della parola (o parte di parola) stessa.
Per esempio, il kanji 旅 vuol dire "viaggio". La pronuncia kun (generalmente utilizzata quando il kanji è isolato) è tabi, mentre la lettura on (di solito utilizzata quando il kanji è accompagnato da altri ideogrammi) è ryo.
I kanji possono avere più letture on in quanto gli stessi vocaboli furono importati dalla Cina in epoche diverse, in cui dunque la pronuncia era mutata. Ad esempio, il kanji 生 può essere letto, tra gli altri modi, sia sei sia shō, a seconda dei vocaboli in cui si trova.
Secondo le stime più recenti, il numero totale di kanji esistenti dovrebbe essere compreso all'incirca tra i 45000 e i 50000, ma di questi solo 2928 (i jōyō kanji, kanji di uso comune), di cui 983 per i nomi propri, possono essere utilizzati per la stampa. Nel caso si utilizzi un kanji non presente fra i jōyō si è soliti suggerirne la pronuncia con dei piccoli hiragana, chiamati furigana.
Il fatto che esista un numero preciso di kanji utilizzabili per la stampa dimostra l'intenzione, in passato, di cancellare gradualmente l'uso degli stessi, sostituendoli con i kana (alfabeti sillabici). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, si tentò di occidentalizzare il Giappone anche sotto questo aspetto: la lista dei kanji per la stampa partiva da soli 1850 caratteri (tōyō kanji). L'uso degli ideogrammi, però, resistette, probabilmente per via delle peculiarità stesse della lingua giapponese tra le quali la ricchezza di omofoni. L'uso dei soli kana renderebbe la comprensione dello scritto molto più ostica rispetto a quanto lo sia con il sistema attualmente in uso.

SEPPUKU - HARAKIRI



Il Seppuku (in giapponese: 切腹) è un termine giapponese che indica un rituale per il suicidio in uso tra i samurai. In Occidente viene spesso confuso col più semplice harakiri (in giapponese: 腹切り), a volte in italiano volgarizzato come Karakiri, con pronuncia e scrittura errata dell'ideogramma hara.
La traduzione letterale di entrambi i termini è "taglio del ventre" e veniva eseguito, secondo un rituale rigidamente codificato, come espiazione di una colpa commessa o come mezzo per sfuggire ad una morte disonorevole per mano dei nemici. Un elemento fondamentale per la comprensione di questo rituale è il seguente: si riteneva che il ventre fosse la sede dell'anima, e pertanto il significato simbolico era quello di mostrare agli astanti la propria anima priva di colpe in tutta la sua purezza.
Alcune volte praticato volontariamente per svariati motivi, durante il periodo Edo (16031867), divenne una condanna a morte che non comportava disonore. Infatti il condannato, vista la sua posizione nella casta militare, non veniva giustiziato ma invitato o condannato a togliersi da solo la vita praticandosi con un pugnale una ferita profonda all'addome di una gravità tale da provocarne la morte.
Il taglio doveva essere eseguito da sinistra verso destra e poi verso l'alto. La posizione doveva essere quella classica giapponese detta seiza cioè in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all'indietro; ciò aveva anche la funzione d'impedire che il corpo cadesse all'indietro, infatti il guerriero doveva morire sempre cadendo onorevolmente in avanti. Per preservare ancora di più l'onore del samurai, un fidato compagno, chiamato kaishakunin, previa promessa all'amico, decapitava il samurai appena egli si era inferto la ferita all'addome, per fare in modo che il dolore non gli sfigurasse il volto. La decapitazione (kaishaku) richiedeva eccezionale abilità e infatti il kaishakunin era l'amico più abile nel maneggio della spada. Un errore derivante da poca abilità o emozione avrebbe infatti causato notevoli ulteriori sofferenze. Proprio l'intervento del kaishakunin e la conseguente decapitazione costituiscono la differenza essenziale tra il seppuku e lo hara-kiri: sebbene le modalità di taglio del ventre siano analoghe, nello hara-kiri non è prevista la decapitazione del suicida, e pertanto viene a mancare tutta la relativa parte del rituale, con conseguente minore solennità dell'evento.
Il più noto caso di seppuku collettivo è quello dei "Quarantasette rōnin", celebrato nel dramma Chushingura, mentre il più recente è quello dello scrittore Yukio Mishima avvenuto nel 1970. In quest'ultimo caso il kaishakunin Masakatsu Morita, in preda all'emozione, sbagliò ripetutamente il colpo di grazia. Intervenne quindi Hiroyasu Koga che decapitò lo scrittore.
Una delle descrizioni più accurate di un seppuku è quella contenuta nel libro Tales of old Japan (1871) di Algernon Bertram Mitford, ripresa in seguito da Inazo Nitobe nel suo libro Bushido, l'anima del Giappone (1899). Mitford fu testimone oculare del seppuku eseguito da Taki Zenzaburo un samurai che, nel febbraio 1868, aveva dato l'ordine di sparare sugli stranieri a Kobe e, assuntasi la completa responsabilità del fatto, si era dato la morte con l'antico rituale. La testimonianza è di particolare interesse proprio perché resa da un occidentale che descrive una cerimonia, così lontana dalla sua cultura, con grande realismo.

Coltello Tantō, usato per il Seppuku.
Nel 1889, con la costituzione Meiji, venne abolito come forma di punizione. Casi di seppuku si ebbero al termine della Seconda guerra mondiale tra quegli ufficiali, spesso provenienti dalla casta dei samurai, che non accettarono la resa del Giappone. Tra questi figura il caso dell'anziano ex-daimyō Nogi Maresuke che si suicidò nel 1912 alla notizia della morte dell'imperatore.
Il seppuku era previsto, nella tradizione della casta dei samurai, anche per le donne; in questo caso il taglio non avveniva al ventre bensì alla gola dopo essersi legate i piedi per non assumere posizioni scomposte durante l'agonia. L'arma usata poteva essere il tanto (coltello), anche se più spesso, soprattutto sul campo di battaglia, la scelta ricadeva sul wakizashi, detto anche guardiano dell'onore, la seconda lama (più corta) che era portata di diritto dai soli samurai.

LE ORIGINI DEL TATUAGGIO


James Cook

Il tatuaggio è stato impiegato presso moltissime culture, sia antiche che contemporanee, accompagnando l'uomo per gran parte della sua esistenza; a seconda degli ambiti in cui esso è radicato ha potuto rappresentare ad esempio sia una sorta di carta d'identità dell'individuo, che un rito di passaggio ad esempio all'età adulta.
Tatuaggi terapeutici sono stati ritrovati sulla Mummia Otzi (ca. 3300 a.C.) ritrovata nel 1991 sulle Alpi italiane, altro ritrovamento con tatuaggi anche piuttosto complessi è quello dell'"uomo di Pazyryk" in centro Asia con complicati tatuaggi rappresentanti animali.
Tra le civiltà antiche in cui si sviluppò il tatuaggio fu l'Egitto ma anche l'antica Roma, crocevia di civiltà, dove venne vietato dall'imperatore Costantino, a seguito della sua conversione al cristianesimo ("Non vi farete incisioni nella carne per un defunto, ne vi farete tatuaggi addosso.Io sono il Signore" Levitico 19.28').
Altri popoli che svilupparono propri stili e significati furono quelli legati alla sfera dell'Oceania, in cui ogni particolare zona nonostante, le similitudini, ha tratti caratteristici ben definiti. Famosi quelli Maori,ed inoltre fra i popoli del monte Hagen, giapponesi, cinesi e gli Inuit anche se praticamente ogni popolazione aveva suoi caratteristici simboli e significati.
Nella zona Europea dopo che per motivi religiosi venne praticamente proibito, venne "riscoperto" al momento delle navigazioni della zona oceanica (ad es. James Cook).

TATTOO DIMENSION MAGAZINE


Ennio Dri

Tattoo Dimension è la prima rivista del settore nata in Italia e interamente curata da tatuatori professionisti.
Il Direttore responsabile è Ennio Dri uno dei pochi tatuatori italiani che può realmente vantare più di vent'anni di esperienza.
Questa rivista nasce con uno spirito di co-creazione e di vera amicizia: uno spirito libero da ogni forma di pregiudizio e di discriminazione ed è rivolta a tutti quegli artisti che condividono questo modo di pensare e questo stile di vita.
Ogni consiglio e forma di collaborazione e/o di aiuto è ben accetto.
Grazie a tutti, Ennio Dri.